Area archeologica di Santa Anastasìa
L’area archeologica di Santa Anastasìa è uno dei siti più suggestivi della Sardegna intera per via della sua inusuale posizione nel cuore del moderno tessuto urbano.
L’interesse del sito risulta noto dal 1913 quando, per la prima volta, venne sistematicamente indagato da Antonio Taramelli, pioniere dell’archeologia isolana, che riportò alla luce il pozzo sacro. Le successive campagne di scavo che hanno interessato l’area risalgono agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso e al 2001.
Ciò che è stato restituito consiste nella porzione di un insediamento nuragico a carattere civile e religioso il cui primo impianto risalirebbe al Bronzo Recente per protrarsi fino alla prima Età del Ferro (fine VIII sec. a.C.), momento nel quale vanno registrate le prime ingerenze fenicie nell’Isola. Sono state rinvenute anche tracce di frequentazioni successive, ma assolutamente occasionali, come quelle d’età romana.
La parte scavata e visibile del sito consiste in una serie di ambienti legati sia alla produzione tecnica e artigianale, come officine di fusione e piccoli depositi di materiale o, più semplicemente, ad esigenze di carattere associativo e comunitario: sono infatti presenti una Sala del Consiglio e una delle riunioni, a testimonianza della complessità del vivere sociale di questa fase della storia nuragica nella quale si comincia, peraltro, a dare vita ai primi insediamenti complessi, per la prima volta deputati alla razionale gestione del territorio e delle sue risorse.
A rendere particolarmente significativo questo contesto è il tempio a pozzo (o pozzo sacro) di Santa Anastasìa (cosiddetto secondo l’intitolazione della chiesa che sorge sul sito), che va ad aggiungersi alle decine di strutture di simile fisionomia architettonica presenti nel territorio sardo, tutte adibite al culto.
Un secondo pozzo in opera isodoma, della stessa tipologia del primo, è oggi collocato al di sotto dell’attuale Via Eleonora d’Arborea ed è pertinente, con ogni probabilità, alla stessa area santuariale cinta dal grosso muro che corre lungo la passerella che attraversa il sito. Il pozzo del Taramelli sarebbe coevo alla cospicua parte del villaggio finora scavata, e dunque alla fase di vita meglio documentata del sito, che può ragionevolmente collocarsi nel Bronzo Finale (fine XII – inizi X sec. a.C.) e nel passaggio alla successiva Età del Ferro. Sebbene si tratti di un monumento unico nel suo genere, il pozzo sacro di Santa Anastasìa – così come la tipologia templare coeva del territorio isolano – ha trovato non poche consonanze stilistiche con il sito di Garlo, in Bulgaria, in cui è possibile visitare un monumento affine per struttura e caratteristiche e che ha permesso, nel 2017, la stipula di un gemellaggio culturale tra Sardara e Pernik, cittadina nel cui distretto sorge il sito in questione.
Le vestigia dell’insediamento di Santa Anastasìa vengono successivamente obliterate, in età altomedievale, dalla chiesa di Santa Anastasia, che dà il nome al sito e che fornisce un chiaro esempio di continuità di culto. In origine, l’edificio avanzava di qualche metro, e sono comunque evidenti i rimaneggiamenti subiti nell’arco dei secoli.
Va segnalata, al suo interno, la presenza di un pozzo per l’approvvigionamento idrico, erroneamente definito “votivo” per via della tipologia di materiali rinvenuti al suo interno e pertinenti alla fase nuragica ed a momenti di utilizzo successivi. Oltre al pozzo votivo è possibile osservare un bellissimo fonte battesimale del 1585 e le statue della santa.
L’importanza dell’area archeologica è certamente evidenziata dalla sua collocazione nel cuore del centro abitato, nucleo fondativo a partire dal quale si è sviluppato il mpderno insediamento, e trova ben pochi confronti in area isolana.