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Luoghi d'interesse

Chiesa della Beata Vergine Assunta

La Chiesa della Beata Vergine Assunta, “Cresia Manna” per i sardaresi, è uno degli edifici di culto cristiano più belli e significativi dell’intero Sud dell’Isola.

Il prospetto frontale risulta scandito dalla sobria facciata, appena mossa dal rosone dalla sovrastante nicchia con la Vergine e, a destra di essa, dalla torre campanaria, realizzata tra il 1634 e il 1639, demolita e poi ricostruita nel 1706. 

L’edificio col suo antistante sagrato domina la Piazza Libertà, dove sorge lo stesso Museo Villa Abbas, e la sua posizione è indicativa del grande ruolo che, sia oggi che in passato, ha ricoperto per la comunità.
Edificata con un impianto trinavato tra la fine del XV secolo e gli inizi del successivo forse su un preesistente edificio di culto, venne poi ampliata in stile romanico nel corso del Seicento, e risulta dalla sapiente e felice commistione tra i dettami delle diverse scuole architettoniche che si sono susseguite nella sua fabbrica nel corso dei secoli. 


Gli stilemi del gotico, ad esempio, sono facilmente rilevabili nella prima cappella a destra, quella delle anime, ed anche, più o meno a metà della navata centrale ma sulla sinistra, in quella di Lourdes, dove è conservato il dipinto “I vizi capitali”, splendido olio su tela della prima metà del XVIII secolo, di Sebastiano Scaletta.

La Beata Vergine Assunta vanta alcune tra le opere scultoree più belle ed importanti dell’intera produzione sarda secentesca, che attestano il grande fermento artistico e culturale della fase spagnola, durante la quale era costante il flusso di artisti, soprattutto di scuola napoletana, che operavano in Sardegna.
Tra le opere più significative va certamente segnalato il Sant’Ignazio di Loyola del Seicento, collocato in una nicchia al di sopra della teca di un Cristo deposto, in legno policromo, degli inizi del XIX secolo.


Ancora, spiccano per ricercatezza stilistica il San Bartolomeo nella Cappella della Madonna d’Itria (legno policromo damaschinato), ascrivibile al primo Seicento e proveniente, forse, dalla bottega di Camillo Mariani e il retablo di bottega sarda e pregevole fisionomia barocca del 1680, conservato nel medesimo spazio. Infine va menzionato l’organo a canne del 1758, in perfetto stato di conservazione e uno dei pezzi più raffinati ospitati all’interno dell’edificio.

 

Chiesa di Sant’Antonio da Padova

L’edificio attuale, quasi certamente ascrivibile alla seconda metà del Seicento, divenne probabilmente, già verso la fine del Settecento, la cappella gentilizia della nobile e potente famiglia Orrù, che possedeva un cospicuo settore urbano intorno alla chiesa.

Seppure non ne esistano menzioni in riferimento agli edifici di culto medievali della Sardegna, non può comunque escludersi a priori l’ipotesi di un primo impianto risalente all’epoca in questione.

All’interno della struttura è riconoscibile una soluzione costruttiva e spaziale che presenta forti consonanze con la parrocchiale di Mogoro, sintomo della stretta connessione culturale ma soprattutto sociale e nobiliare delle due località.

Tra le opere di pregio presenti all’interno dell’impianto spicca lo splendido altare ligneo policromo settecentesco, intagliato dall’artista spagnolo Medinas con l’ausilio di artisti locali.

Chiesa di San Gregorio Magno

La Chiesa di San Gregorio Magno sorge sulla parte alta dell’antico abitato di Sardara e nell’attuale centro storico.

Edificato nei primi decenni del Trecento da maestranze probabilmente monastiche, l’edificio è il risultato del felice connubio tra i misurati dettami del romanico e l’irriverenza degli stilemi del gotico maturo, il quale emerge particolarmente nella pregevole bifora absidale e nel prospetto frontale, in cui un portale con arco ogivale strombato e un raffinato rosone scandiscono una suggestiva facciata. 

Questa, del tipo a capanna, è tripartita da lesene a fascio, presenta due robuste paraste angolari ed è ulteriormente mossa da una serie di archetti su peducci che anticipano un campanile a vela con due strette luci, che la sormonta. 

Ad arricchirne ulteriormente il pregio è la bicromia dovuta al paramento murario in pietra vulcanica e calcarea. Questi caratteri lo rendono uno degli edifici gotici più significativi dell’Isola. 

La pianta della fabbrica è mononavata, con copertura lignea ed abside a S/E, e la sua sobrietà risulta appena ravvivata dalle croci e dalle numerose iscrizioni latine emerse dopo gli ultimi interventi di restauro. Al suo interno spicca la statua lignea di San Gregorio I, di scuola napoletana, ascrivibile al 1700 ca e realizzata mediante il ricorso alla tecnica dell’estofado de oro.

 

Santuario di Santa Maria de is Aquas

La Chiesa di Santa Maria delle Acque è un edificio campestre situato nell’agro termale di Sardara, e rappresenta una delle realtà di culto più affascinanti della Sardegna intera.

Esso, infatti, si trova immerso in un contesto nel quale la carica sincretica risulta estremamente pronunciata, e le vicine terme, in attività almeno dal periodo romano e già menzionate da Tolomeo come “aquae calidae neapolitanae (in riferimento alla vicina colonia fenicio-punica di Neapolis), forniscono un lampante esempio di profondità storica del luogo, che affonda le sue radici addirittura nella preistoria: sono infatti numerose le tracce di una presenza umana stabile già in epoca prenuragica.

Delle antiche terme, invece, è oggi visibile e conservato soltanto l’edificio che risulta di fronte alla chiesa, e che è conosciuto dai sardaresi come “bagno romano”.

La chiesa, intitolata alla Madonna delle Acque, viene riedificata nel XVIII secolo su un precedente impianto altomedievale, a sua volta costruito a partire da una prima struttura risalente con ogni probabilità ai primi secoli del cristianesimo e adibita al culto.

Santa Maria de is Aquas viene onorata il penultimo lunedì del mese di settembre con dei festeggiamenti che interessano sia il centro abitato che, ovviamente, l’area termale in cui sorge il suo santuario, meta della processione che dal paese accompagna il simulacro della santa. L’intitolazione della Madonna qui venerata è un evidente richiamo al retaggio sincretico che in questo luogo si sviluppa dall’età nuragica per passare attraverso quella romana e che, dal medioevo, trova la sua sustanziazione nel culto cristiano cui viene dedicato l’edificio.

A poca distanza da esso sorgeva poi il villaggio di “villa abbas”, menzionato già nella Pace di Sanluri del 1388, ovvero l’insediamento medievale ai piedi del Castello di Monreale che ha dato il nome alla Cooperativa Villa Abbas, adibita alla gestione dei beni culturali di Sardara. Il villaggio venne abbandonato quasi certamente durante il corso del XVI secolo.

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