Il virus dell’assenza: beni culturali e covid, un appello

Chi scrive proviene da una realtà che da decenni opera nell’ambito dei beni culturali e della gestione del patrimonio, unanimemente riconosciuto come una risorsa primaria del nostro Paese. La situazione patita, sulla quale si intende porre l’accento in queste righe, è la stessa che attanaglia tanti altri operatori del settore e addetti di ogni sfera professionale, impotenti davanti alla recrudescenza di una pandemia che ormai da mesi è l’ago della bilancia di qualsiasi decisione politica ma anche di noi cittadini e lavoratori. Le intermittenti chiusure, però, ci mettono davanti ad una maggiore consapevolezza non solo del fenomeno nella sua globalità, ma anche – è auspicabile – del ruolo imprescindibile della cultura in una sua fase di cocente indebolimento, sicuramente aggravato dalla chiusura dei musei e dei luoghi di produzione culturale. La sensazione nutrita, infatti, è che per l’ennesima volta i beni culturali e tutto ciò che concerne la loro cura siano concepiti come un qualcosa di facilmente sacrificabile e da accendere e spegnere a piacimento, come fossero un asettico contesto di svago, utile solo per le esigenze contemplative di alcuni e mai veramente addentro alla coscienza sociale, base delle nazioni. Riteniamo, per questo, che contraddire un simile orientamento sia non solo doveroso secondo la posizione da noi ricoperta, ma importante per contribuire, certo in minima parte, al delinearsi di un progetto di coesione che coinvolga tutti gli interpreti del settore cultura ed in primis l’associazionismo ed il cooperativismo, fiorente realtà occupazionale e operativa dei nostri comparti economici ormai da decenni e alla quale fieramente apparteniamo. Soprattutto, queste poche righe vogliono limitarsi a suggerire dei temi di riflessione che, se attentamente considerati, possano anticipare contingenze future nelle quali il ruolo dei luoghi di cultura sia opportunamente valutato prima di qualsiasi decisione li possa coinvolgere. I musei infatti, supremi depositari della memoria storica e del senso dei luoghi, sono “insostituibili fonti di nutrimento culturale” (Settis), mai d’intralcio, e devono continuare a ricoprire questo ruolo proprio adesso, in un momento nel quale la società è generalmente indebolita dal venire meno di punti di riferimento ideali, comunitari e financo fisici, che mina anzitutto la stabilità individuale dei suoi membri, il cui smarrimento è progressivamente più tangibile e in balìa di una quotidianità alterata e “ristretta”. Questa infatti, innescando un cocente bisogno di normalità, potrebbe comprensibilmente condurre a decisioni inique per se stessi e per gli altri. Rispetto a questo punto dovrebbe inoltre fare specie che a patire l’obbligo di chiusura siano proprio i luoghi meno coinvolti dal proliferare del virus e che, anzi, si tratti proprio di quelle realtà nelle quali non solo vigono regole ferree per la permanenza all’interno dei locali ma che, soprattutto, riescono a garantire in maniera estremamente sicura la loro fruibilità attraverso delle efficacissime ed ineludibili modalità di contingentamento degli ingressi, altrove difficilmente rispettate. I musei, le mostre ed i siti archeologici soprattutto dei contesti locali nei quali noi operiamo sono delle realtà troppo importanti perché si possa ignorarne arbitrariamente il peso che hanno, come altrove, nella costruzione del senso dei luoghi, nella percezione della loro profondità storica e quindi nella generale consapevolezza dei territori che si abitano e nei quali è adesso ancor più importante sentirsi radicati e al sicuro. Il loro ruolo, dunque, può e deve essere funzionale allo sviluppo di una coscienza critica rispetto alla propria posizione nel mondo e rispetto ai fenomeni che lo interessano, in questo modo più facilmente comprensibili. Ancora, essi rappresentano un argine importante ed un baluardo – forse l’ultimo – contro il progressivo venir meno della Scuola come spazio fisico di socialità, apprendimento dei modi di vita e costruzione di significati improntati al vivere comune e al rispetto stesso delle regole; per questo crediamo che la conoscenza del passato della vita umana e delle sue innumerevoli manifestazioni – delle quali i musei sono custodi privilegiati – sia una colonna portante del futuro di istruzione e formazione, fatalmente indirizzate verso un irreversibile processo di digitalizzazione meglio conosciuto come “didattica a distanza”, i cui escamotage già eludono importanti step del percorso di formazione sociale dello studente. A questo proposito, crediamo sia ragionevole guardare alla pandemia non soltanto come ad una irresistibile fase di limitazione e costante pericolo, ma altresì come ad un punto di partenza e possibilità, come termine a quo di una nuova stagione di ripensamento e riflessione intorno alle tematiche legate alla cultura e, in essa, ai beni culturali e alla loro futura fruizione. Partendo da questa base, sarebbe auspicabile discutere dunque della loro gestione e dell’ipotetico ruolo del turismo durante momenti come questi, assecondando magari quella riscoperta dei luoghi sempre citata dagli addetti ai lavori ma mai veramente afferrabile e concreta, perché sacrificata a beneficio di più redditizie eventualità. La crisi come sintesi, dunque, secondo il supremo insegnamento della storia, la quale ci mette dinanzi alla necessità di comprendere a fondo le modificazioni profonde in seno alla meccanica societaria e, va da sé, anche i più brutali rivolgimenti, sempre specchio dell’esigenza del cambiamento sociale, economico e politico. Citando ancora Salvatore Settis, infatti, già altre volte nei trascorsi novecenteschi “la violenza di un trauma generò consapevolezza della memoria culturale” e, aggiungiamo noi, consapevolezza della comune appartenenza ad un progetto nazionale e, dunque, culturale. Mai come in questo momento necessitiamo probabilmente di rivalutare il peso dei luoghi della cultura come scrigni della memoria, dei saperi e della coscienza del passato, riferimento eterno della posizione dell’uomo nel mondo, di quello attuale e di ciò che verrà.

Auspichiamo che queste righe possano rappresentare uno spunto per quanti, come noi, avvertano il bisogno di sentirsi parte di un fronte comune che coinvolga le cooperative, le associazioni e tutte le realtà mosse da esigenze di coesione e collaborazione che abbiano a cuore il futuro della nostra Regione, dei suoi abitanti e del suo straordinario patrimonio materiale ed immateriale.

Villa Abbas ha la sua pinacoteca virtuale

La Cooperativa Villa Abbas aggiunge un ulteriore tassello alla sua offerta culturale. Stavolta è il turno della prima pinacoteca virtuale dell’associazione, realizzata a partire dalle donazioni dei diversi artisti che, nel corso degli anni, hanno esposto le loro opere all’interno dei locali di Casa Pilloni, centro culturale e spazio espositivo della cooperativa.

La realizzazione di uno spazio virtuale si inserisce all’interno di un più ampio progetto di sviluppo digitale e multimediale che vede la cooperativa espandere i suoi servizi e migliorare il suo approccio con la comunità, anche e soprattutto in osservanza alle nuove modalità di fruizione imposte dalla condizione pandemica.

La pinacoteca di Villa Abbas è un notevole punto di arrivo per le potenzialità comunicative di una delle più longeve realtà dei beni culturali in Sardegna, ma soprattutto si pone come potenziale termine ante quem di una generale esigenza di miglioramento delle prerogative digitali dei servizi che da decenni garantiscono la migliore fruibilità dei siti di interesse del Comune di Sardara. Presto toccherà all’allestimento della pinacoteca “fisica”, secondo l’intenzione di dare vita ad un sito autonomo che sia in grado di godere di una propria visibilità e convogliare anche gli interessi del pubblico più esigente in materia di storia dell’arte contemporanea.

L’offerta della pinacoteca è vasta ed eterogenea, e ripercorre le più significative vicende che hanno caratterizzato la storia artistica dell’Isola almeno nel corso degli ultimi tre decenni. Ad osservare le opere, emerge con veemenza il filo rosso che le accomuna, ovvero l’acuta capacità di lettura del territorio isolano da parte dei tanti artisti che hanno contribuito ad arricchire questo piccolo capitale culturale. Ad mariora, Villa Abbas